Ciao Sergio. Ultimo Guru del mercato Auto. E unico erede di Iacocca.
Vi ricordate di Lee Iacocca?
Fu l’uomo che diede un volto ed una individualità ad un Marchio auto, nel momento in cui questo stesso non fu più riconoscibile.Erano gli anni ’70, e il Marchio era la americana Chrysler, che rischiava il tracollo e che Iacocca riusci’ sapientemente a tenere in piedi conservandola a ridosso degli altri due colossi USA, GM e Ford.Proprio dalla Ford Iacocca fu licenziato, prima di passare a Chrysler, per incompatibilità e scontro di caratteri con la famiglia Ford, una dinastia che nella Casa dell’Ovale ha sempre mantenuto un posto immediatamente sotto il Padre Eterno, con – a volte – anche i disastri che alcuni “rampolli” di famiglia hanno saputo fare.
Lee come Sergio : Un uomo solo contro tutti
La capacità di Iacocca fu quella di saper rappresentare sia sul mercato che con gli operatori (Finanza, Industria, Istituzioni) la Chrysler sostituendone il “Marchio” con la sua faccia da Capitano di Industria vincente. Ma la dote fu anche quella di saper dirigere le scelte industriali, gli accordi di Gruppo e la Gamma Auto a volte con scelte anche controcorrente o sentimentalmente crudeli. Prova ne è ad esempio la distruzione programmata e chirurgica del Gruppo American Motor Corp. (AMC) – rilevato dalla Renault – e della sua storia, da cui si salvò solo il Brand “Jeep”. Renault cedette a Chrysler, ma meglio sarebbe dire che Iacocca ottenne dalla Renault, il 46% di AMC per un valore all’epoca stratosferico pari ad 1.500 miliardi di Dollari, e la figura di Iacocca fu fondamentale anche solo per il conseguimento delle necessarie garanzie finanziarie di copertura della intera operazione. Grazie a ciò, Iacocca lavorò per i successivi 5 anni (fino al suo addio nel 1992) a rendere Jeep un Brand di interesse mondiale. E dalla crescita di Jeep beneficiò anche la stessa Chrysler che infatti per la prima volta nella sua storia riuscì finalmente ad ingranare anche nella vecchia Europa con alcune “icone” come la Voyager e la Dodge Viper, oltre che con le Best seller di Jeep Cherooke e Wrangler.
Uscito – si fa per dire – dal mondo auto vissuto direttamente, quello Iacocca di chiare origini italiane (Campania) conquistò un profilo di “Guru” che spese sapientemente sia come Consulente che come uomo immagine. I suoi libri di vera saggezza sono ricercatissimi da esperti di marketing e da Capitani di Industria.
La FIAT e il nemico tedesco
Il dopo Lee Iacocca ci porta a circa 25 anni di venticinque anni di mercato globale Automotive che ha trasformato il prodotto auto da bene di utilità strumentale a portatore e veicolo di valori sia oggettivi che intrinsechi. E questo ha portato all’esplosione dei “Brands”, in primo luogo tedeschi, che per tutti gli anni ‘90 e con la complicità della forza valutaria del Marco, avevano fatto shopping : VW–Audi, che già deteneva Seat, acquistò Skoda, Bentley, Bugatti e Lamborghini.
BMW comprò Rolls Royce e Rover-MG (poi rivenduta al fondo di Investimento Alchemy), mentre Mercedes avviò la poco fortunata joint venture DaimlerChrysler. La forza che soffiò più forte nelle vele dei Brands tedeschi fu l’avvento – a ridosso degli anni Ottanta – della rivoluzionaria “Qualità totale”, in cui giapponesi e tedeschi eccellevano. Ma i tedeschi furono più bravi nel far breccia in Europa e in America nel settore delle auto di lusso grazie alla qualità del loro prodotto.
Il modello gestionale giapponese del “KAI-Zen” (cambiare in meglio) nacque nei processi industriali prima del modello tedesco del “Umfassendes Qualitätsmanagement”, ma nel mercato europeo fece breccia di più il secondo……Certo, non tutto era rose e fiori nell’Automotive tedesco. All’inizio degli anni Novanta anche Volkswagen affrontò una grave crisi che portò al rischio di licenziamento del 30% della sua forza lavoro : una crisi che rese necessario un intervento pubblico di aiuti da parte del Laend ovvero “Stato Regione” della Bassa Sassonia, in cui insistevano gli stabilimenti Volkswagen.
Da qui vorrei partire per il “mio “ricordo di Sergio Marchionne. Perché mentre per Iacocca il problema principale era la crisi energetica e la fine di un modello costruttivo americano globale, il vero nemico di Marchionne fu il “NON Brand” FIAT a confronto con i rampanti Brands tedeschi.
Quello che va bene alla Fiat, va bene all’Italia
Ripartiamo dalla fine degli anni ottanta, appunto : in Italia si producevano circa 2 mln. di veicoli (Italia secondo Paese produttore europeo dopo la Germania e prima di Francia, Spagna e Gran Bretagna reduce dalla cura Tatcher). Esistevano ( a mia memoria) almeno 16 Marchi industriali (grandi e piccoli), oltre a una quantità di piccoli artigiani e all’attività dei marchi dei Designer, c’erano 3 Gruppi (Fiat, De Tomaso, Piaggio) contro gli odierni nove (ci metto pure la DR e Pagani) ed un solo Gruppo monopolista. Ma dall’inizio degli Anni ’90 l’Italia dell’auto ha perso alcuni treni decisivi: Fiat, che pure aveva la leadership del mercato comunitario con una quota del 15% (battendo di poco Volkswagen), prese decisioni a dir poco schizofreniche.
Da un lato abbracciò la filosofia della Qualità Totale sul modello dei produttori giapponesi, dall’altro – per mano di Cesare Romiti – chiuse stabilimenti strategici (Desio, Chivasso) per aprire nei paesi dell’Est e tagliò le teste del Management che a furia di Uno, Thema, Y10 e di vittorie nel Motorsport aveva spopolato fino ad allora nel panorama Auto (un nome su tutti: Vittorio Ghidella). Nel frattempo, in ossequio al detto dell’Avvocato Agnelli “Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”, il Gruppo aveva praticamente già messo in tasca l’ingresso di Maserati dopo l’acquisizione di Innocenti, che verrà soppressa come Autobianchi nel corso di questo periodo.
In pratica, dei pilastri Fiat, IRI, De Tomaso e Piaggio ne era rimasto solo uno. Casa FIAT. E con la morte di Gianni Agnelli nel 2003 Fiat cristallizzò una “spersonalizzazione” che alla fine incise su tutta l’immagine del “Made in Italy” automobilistico. E a tutto questo Marchionne ha rimediato in primo luogo divenendo lui stesso, per primo, un “Brand” : Sergio Marchionne ha di fatto – come Iacocca – “impersonificato” il Gruppo di cui era a capo.
Sergio. Un uomo solo al comando. Come Lee
Con il suo maglione, i suoi modi, la sua alternatività, Marchionne è uno dei pochissimi uomini la cui notorietà è ricordata superando a volte quella del brand Auto di cui sono divenuti la guida.
Nel 2004 Marchionne viene nominato AD del Gruppo Fiat. Da allora ha collezionato Cariche ed incarichi per traghettare una delle realtà industriali europee più radicate in una immagine nazionale e familiare verso un modello di “brand” internazionale, globale e moderno.
Non vorrei accennare a cose che su tutti i Media si trovano in quantità, riguardo alla acquisizione di Chrysler ed alla nascita del nuovo Gruppo FCA. Ma soprattutto Marchionne ha “intitolato” con la sua persona una nuova era di relazioni industriali e di Gestione di Azienda in Italia. Le sue “entrate a gamba tesa” nei commenti politici e nel confronto duro con il sindacato, oppure nelle parentesi polemiche con altri Big del Made in Italy, si legano alla storia dell’uomo uscito meno peggio di altri dalla crisi globale del 2007, e che nello stesso tempo ha sdoganato i concetti e le modalità un po’ criptate e paludate tipici del mondo Auto arrivando dove sembrava impossibile : cavalcare la filosofia del branding e della qualità totale e superare dei “gap” tra FIAT e la concorrenza che pochi pensavano potesse essere recuperato solo 10 anni fa senza cavalcare concetti un poco farlocchi (auto elettriche in primis) che invece hanno riempito la bocca di molti altri C.E.O.
In tutto questo, rimane un solo piccolo cruccio per i sentimentali come me. Che nella sua azione di rinnovamento Marchionne non sia riuscito a riportare in auge un Marchio storico come la Lancia. Difficile che, senza di lui, qualcun altro ci possa ormai riuscire.
Ciao, Sergio.
Anche se non Ti ho mai conosciuto da amante di questo mondo Auto, e per quanto riguarda FIAT e l’Italia, grazie di tutto.
Per quanto riguarda la Tua battaglia più importante, Ti auguriamo tanta forza. Ti auguriamo di vincere.
Riccardo Bellumori